È ufficiale! Tutti, o quasi, sono tornati alla propria quotidianità, chi a lavoro, chi tra i banchi di scuola. E lo stress è di nuovo dietro l’angolo. Non c’è bisogno di essere dei super-manager con il consiglio di amministrazione alle calcagna per avere un accumulo di stress. Si può definire “agente stressante” qualsiasi cosa che interagisca negativamente con noi stessi.
Di per sé, lo stress non è un problema se dura poco. Se a stressare è un esame o un colloquio di lavoro, una volta superato il problema, lo stress si esaurisce e non avrà lasciato particolari conseguenze. Il grosso problema per il corpo sono gli stress prolungati, meccanismi che durano settimane, mesi e anni, provocando una lenta ma inesorabile “usura” dell’organismo. Lo stress è, infatti, la risposta psicofisica a una quantità di compiti emotivi, cognitivi o sociali percepiti dalla persona come eccessivi.
Il termine stress fu impiegato per la prima volta nel 1936 dall’endocrinologo Hans Selye che, lavorando su umili topi da laboratorio, notò che, qualunque fosse la natura delle ardue prove cui sottoponeva le bestiole, la risposta era sempre la medesima. Quella che lo scienziato chiamò Sindrome Generale di Adattamento (GAS) e che noi oggi chiamiamo stress. Selye definì quindi la GAS come “una risposta non specifica dell’organismo a qualunque richiesta ambientale cui venga sottoposto”. Più recentemente, il neurobiologo Bruce McEwen ha proposto di riservare il termine stress a “quelle condizioni in cui le richieste imposte dall’ambiente eccedono le naturali capacità di regolazione dell’organismo“.
In base al modello di Selye, il processo stressogeno si compone di tre fasi distinte:
- allarme: il soggetto segnala l’esubero di doveri e mette in moto le risorse per adempierli;
- resistenza: il soggetto stabilizza le sue condizioni e si adatta al nuovo tenore di richieste;
- esaurimento: in questa fase si registra la caduta delle difese e la successiva comparsa di sintomi fisici, fisiologici ed emotivi.
La durata dell’evento stressante porta a distinguere lo stress in due categorie. Quello acuto, che si verifica una sola volta e in un lasso di tempo limitato; quello cronico, cioè quando lo stimolo è di lunga durata.
Stress, da adattativo o pericoloso
Lo stress è quindi un meccanismo fondamentale del nostro organismo per far fronte alle sfide dell’ambiente in cui viviamo. Il problema nasce quando il meccanismo è costantemente attivo, senza più produrre una risposta adattativa, anzi creando danni ben maggiori di quelli derivanti dalle potenziali minacce da affrontare.
La risposta a un fattore di stress è non specifica e comporta una cascata di cambiamenti a livello dei sistemi nervoso, cardiovascolare, endocrino e immunitario. La risposta immediata è adattativa nel breve periodo ed è caratterizza dalla rapida secrezione di specifici ormoni.
In uno stress acuto, una volta che la situazione si sia risolta, il sistema torna alla normalità, ma in condizioni di stress cronico questo non avviene, poiché la stimolazione è continua e ripetuta nel tempo. A questo punto la risposta alla stress diventa maladattativa. La continua stimolazione del sistema nervoso simpatico porta a ipertensione, irrigidimento della parete dei vasi, ipertrofia cardiaca. Livelli cronicamente elevati di adrenalina, noradrenalina e cortisolo influenzano negativamente la composizione corporea, determinando riduzione della massa magra, aumento della massa grassa, aumento della glicemia e dei lipidi ematici.
Inoltre, si registra una soppressione immunitaria con alterazioni dei livelli delle citochine, molecole segnalatrici che modulano la risposta immunitaria. Una situazione che può determinare una maggior vulnerabilità a malattie infettive e neoplasie e, nello stesso tempo, una maggior suscettibilità a malattie autoimmuni e allergie. Sembra che gli effetti dello stress sul sistema immunitario siano particolarmente rilevanti nei soggetti anziani, nei quali questo sistema presenta già una funzionalità ridotta dovuta all’invecchiamento.
Come dice Robert Sapolsky, uno dei principali studiosi dello stress nei primati, “lo stress non ti fa ammalare, lo stress aumenta il rischio che tu ti ammali di specifiche patologie“, una distinzione sottile ma importante. Lo stress non è una malattia, è un meccanismo fisiologico di risposta. Solo quando la risposta è protratta nel tempo il nostro organismo risulta più vulnerabile nei confronti di certe malattie.
Stress cronico, ipertensione e malattie cardiovascolari
Studi epidemiologici e prospettici evidenziano l’esistenza di una correlazione tra stress psicosociali e patologie cardiache. Esiste una correlazione anche tra stress e malattie dell’apparato respiratorio, dal comune raffreddore, all’asma. Lo stress è associato anche a un aggravamento di malattie autoimmuni e allergie, attraverso il meccanismo di modulazione delle citochine e attraverso l’azione del cortisolo che, in soggetti con patologie autoimmuni, ha azione proinfiammatoria, probabilmente a causa dell’induzione di un meccanismo di resistenza all’azione dell’ormone.
Altre patologie che possono comparire o aggravarsi in condizioni di stress cronico sono quelle a carico dell’apparato digerente, come ulcera peptica o colite ulcerosa, emicrania, malattie metaboliche, come il diabete mellito, e tutta una serie di patologie psichiatriche che vanno dalla depressione, alla schizofrenia, ai disturbi bipolari.
L’appetito vien stressandosi
Gli ormoni dello stress favoriscono l’accumulo di grasso corporeo e possono contribuire a un aumento dell’appetito e dell’assunzione di cibo, con conseguente aumento di peso. I meccanismi specifici sono ancora oggetto di studio. Uno stress cronico potrebbe alterare i meccanismi cerebrali che controllano l’appetito e il sistema di ricompensa, spingendo alla ricerca di cibo. La maggior parte dei soggetti sottoposti a stress, oltre il 60%, riferisce un aumento del consumo di cibo, con netta preferenza verso quei cibi definiti “di conforto”, ricchi di zuccheri e grassi.
Sovrappeso, sedentarietà e stress. Tre condizioni oggi purtroppo molto comuni, spesso presenti contemporaneamente. Tre fattori di rischio estremamente gravi eppure poco considerati. Spesso l’attenzione si fissa sul pericolo del momento, che si tratti dell’olio di palma o delle farine raffinate non fa differenza. Dovremmo invece focalizzarci sugli effetti, ossia l’accumulo di grasso, il fiato corto quando si salgono quei sette gradini, lo stress continuo e sotterraneo legato a lavoro, relazioni, società.
Sul peso corporeo e sul livello di attività fisica, c’è margine di miglioramento diretto e anche immediato. Più complicato intervenire sui fattori di stress, che spesso sono in gran parte indipendenti dalla nostra volontà. Eppure, per alcuni, anche alimentazione e attività fisica diventano fattori di stress: preoccupazioni costanti su natura e salubrità del cibo consumato, esercizio ossessivo che toglie spazio ad altri essenziali aspetti della vita di ogni giorno. Ognuno si costruisce i propri demoni e ingaggia battaglie che spesso è destinato a perdere. Ricordiamo sempre che la maggior parte dei fattori di stress sono di natura psicosociale, frutto delle strutture e dell’intreccio di relazioni nei quali ci ritroviamo a vivere.
Un passo importante sarebbe già capire se e cosa ci stressa, quali sono le situazioni che percepiamo come una minaccia, che alterano in maniera drammatica il nostro delicato equilibrio interno e ci pongono in una condizione di allarme che alla lunga può soltanto farci male.