Chi soffre di malattie croniche (non trasmissibili) ha più risentito del Covid e del lockdown conseguente. A dirlo è la survey condotta da Viatris sia in Europa che negli Usa per valutare gli effetti del Covid su diversi aspetti della loro salute. Quello che allarma è la ripercussione della pandemia sulla salute mentale.
L’attenzione dell’indagine è tutta incentrata sul paziente, sulla sua accessibilità all’assistenza sanitaria e sulla qualità di vita con focus sui pazienti con malattie croniche non trasmissibili, come le patologie metaboliche, respiratorie e cardiovascolari, i disturbi mentali e le malattie oncologiche.
Carenza di comunicazione
In fase pandemica, i pazienti cronici hanno riscontrato maggiore difficoltà nel restare in contatto con medici e strutture per gestire e seguire nel modo corretto le terapie. Nel mondo, 1 paziente su 2 ha registrato e percepito un peggioramento della propria patologia durante le fasi di lockdown. Non a caso, il 38% dei pazienti intervistati ha ammesso di aver consultato con minor frequenza il proprio medico e, in Italia ben il 42% ha riconosciuto come causa di ciò, la maggior difficoltà nel contattare e riuscire a parlare con un medico.
Inoltre, il Covid ha impattato fortemente sulle visite mediche, ambulatoriali e sugli interventi chirurgici. In Italia il 39% degli intervistati (contro il 32% a livello globale) ha riferito di appuntamenti cancellati e rimandati.
Ecco perché non è da escludere che in molti casi, ci sia stato un cambiamento nella frequenza e costanza di assunzione delle terapie, fino in alcuni casi ad arrivare a interrompere il trattamento. Riduzione di aderenza alla terapia e accesso al personale medico sono due dei più allarmanti risultati dell’indagine.
Come tutto ricade sul cervello
La salute mentale è fortemente correlata a malattie oncologiche, metaboliche e cardiovascolari. E la pandemia ha aumentato sintomi come ansia e depressione in soggetti già vulnerabili.
Metà dei pazienti italiani hanno dichiarato di essersi sentiti isolati con un valore medio di 6 su una scala valori da 1 a 10, molto più di altri Paesi a noi vicini, come Spagna, Francia e Germania.
Questi stati d’animo di stress e ansia hanno condotto verso stili di vita e abitudini meno sane. Il 64% dei pazienti nel mondo ha adottato almeno un comportamento non virtuoso nel periodo di lockdown.
A livello globale, il 39% ha ridotto o interrotto la pratica di attività fisiche a seguito delle restrizioni imposte; il 16% ha aumentato l’assunzione o iniziato ad assumere farmaci per dormire la notte e far fronte a uno stato di insonnia da stress e depressione. Allo stesso modo, il 15% ha avuto lo stesso comportamento con i farmaci per l’ansia o la depressione (17% in Italia).
Per quanto riguarda, invece, le buone abitudini a tavola, il 22% ha incrementato o iniziato ad avere abitudini alimentari poco sane. Ma c’è anche chi (il 21%) ha iniziato ad alimentarsi meglio e in modo più sano proprio per far fronte alla riduzione dell’esercizio fisico. Come quel 20% che si è adoperato per praticare attività fisica tra le mura domestiche e a prediligere esercizi di respirazione e meditazione.
Impegnarsi è un dovere
Alla luce di questa indagine, il monito e l’auspicio è che istituzioni e aziende farmaceutiche inizino a ragionare secondo la logica del “paziente al centro” affinché possa vivere una vita da protagonista integrando la terapia con stili di vita sani e fiducia nell’accesso alle strutture sanitarie e al consulto medico.