Vi presento Erin Bromage, un biologo che si occupa di immunologia e insegna presso l’University of Massachusetts, nel Dartmouth (Stati Uniti). Da qualche giorno, un suo articolo di divulgazione, apparso sul New York Times, sulle modalità di diffusione del coronavirus, ha ottenuto grandi attenzioni e apprezzamento, per avere spiegato in modo accessibile quali siano i rischi nell’allentare le restrizioni che diversi governi hanno imposto. Un articolo che aiuta (per chi vuole riflettere) a farsi meglio un’idea non solo di cosa potrebbe accadere, una volta attenuate le limitazioni, ma anche del perché alcuni luoghi di aggregazione sono più a rischio di altri.
Sulla base delle indagini epidemiologiche condotte in diversi paesi, sappiamo che il principale luogo di contagio sono le abitazioni e i luoghi di lavoro, dove un infetto contagia le altre persone vivendo a stretto contatto con loro e nel secondo caso dove spesso si tratta di luoghi chiusi, con uno scarso ricambio di aria e con un’alta concentrazione di persone. Molti ritengono che il luogo di principale contagio possa essere il supermercato, un ambiente condiviso con molte persone e con numerose possibilità di toccare superfici che potrebbero essere contaminate. Ma Bromage spiega invece che i dati ci dicono il contrario, con diversi altri contesti più a rischio. Gli spazi offerti da molti supermercati sono ampi, i ricambi d’aria frequenti e il numero di clienti limitato, grazie alla pratica degli accessi contingentati. La combinazione di questi fattori rende il rischio di contagio molto basso.
Come ci si infetta
In linea generale, un contagio da virus si verifica quando si viene esposti a una certa dose di particelle virali (virioni), cioè i virus nella loro forma al di fuori degli organismi. Non è semplice stabilire quante particelle siano necessarie per avviare un’infezione, ma si possono fare stime piuttosto vicine alla realtà. Per i coronavirus che causano la MERS e la SARS si stima che siano necessarie un migliaio di particelle virali, e che lo stesso valga per il coronavirus che causa la COVID-19.
Ci sono molti modi in cui si può venire a contatto con mille particelle virali: possono essere inalate se qualcuno starnutisce a breve distanza da noi, oppure se ci tocchiamo la faccia dopo avere passato le mani su superfici sulle quali era presente il coronavirus. Si può rimanere infetti sia nel caso in cui si venga esposti a mille particelle in una volta sola sia nel caso in cui si ripetano occasioni che portano a un accumulo di virioni, fino a superare la soglia tollerata che rende possibile l’infezione vera e propria.
Sulla base degli studi realizzati finora, Bromage scrive che i bagni possono essere considerati tra i luoghi più a rischio per la diffusione del coronavirus: sono pieni di superfici che vengono inevitabilmente toccate da chi li utilizza, e sulle quali si potrebbero quindi accumulare molti virioni. La loro diffusione avviene sia tramite le superfici sia tramite le goccioline (droplet) che si sollevano in particolari circostanze, per esempio quando si attiva lo sciacquone. Per questo viene consigliato di utilizzare i bagni pubblici con grande cautela, in attesa di avere valutazioni del rischio più precise. Ma in un ambiente di lavoro, per esempio, come si fa a limitarne l’uso?
Nel caso di una riunione di lavoro, poi il rischio si fa più alto, perché anche solo parlando si emettono fino a dieci volte i droplet che si emettono respirando in silenzio. Le particelle virali sarebbero circa 200 al minuto e potrebbero quindi essere sufficienti alcuni minuti per infettare il proprio interlocutore. Per questo chi si occupa del tracciamento dei contatti dovrebbe sempre chiedere ai nuovi infetti non solo un elenco delle persone viste nei giorni precedenti, ma anche il tempo trascorso con loro e l’eventualità di avere parlato per almeno dieci minuti con alcuni privi di protezioni.
Un virus si diffonde più semplicemente di un messaggio
I casi (solo alcuni) descritti da Bromage dimostrano quanto sia tutto sommato semplice che si diffonda il coronavirus. Molto più semplicemente e velocemente di quanto siamo capaci a trasmetterci informazioni. Tutti i casi citati hanno in comune di essersi verificati in luoghi al chiuso, con persone a stretto contatto e in contesti in cui si parla a voce alta, si parla, si urla o ci si passano oggetti (per esempio fogli, telefoni) gli uni con gli altri.
La prospettiva di riprendere pienamente le attività lavorative e di ripristinare quelle dove avviene buona parte delle nostre interazioni sociali, come ristoranti e locali, non lascia tranquilli gli epidemiologi proprio per i maggiori rischi a cui andiamo incontro. Nei luoghi chiusi è più complicato praticare il distanziamento sociale e inoltre iniziano a esserci elementi a sufficienza per ritenere che la presenza di infetti inconsapevoli, anche a metri di distanza, faccia aumentare considerevolmente il rischio di essere contagiati.
Il distanziamento fisico, scrive Bromage, è sostanzialmente pensato per ridurre l’esposizione tra contagiosi e sani negli ambienti esterni o per i brevi periodi in ambienti al chiuso. Il tempo infatti spesso è la chiave: minore è, minore sarà il rischio di accumulare una quantità di virus tale da sviluppare un’infezione.
Con l’attenuazione delle misure restrittive sarà molto importante fare valutazioni attente degli ambienti chiusi in cui si lavora, o si incontrano gli amici. I fattori da tenere in considerazione devono essere:
- le loro dimensioni rispetto al numero di persone che li frequentano;
- la presenza di adeguati sistemi per il ricambio d’aria;
- il tempo di permanenza negli ambienti potenzialmente a rischio.
Con un po’ di pazienza e con le buone pratiche si possono ridurre sensibilmente i rischi di contagio: mai toccarsi la faccia con le mani sporche, praticare il distanziamento fisico, evitare i luoghi affollati, ridurre le interazioni sociali e lavarsi di frequente le mani con il sapone, per almeno 20 secondi, sistemi di ventilazione e areazione nuovi, sanificati e divisori protettivi in plexiglass per tutti, perché anche respirando in silenzio di producono importanti cariche virali di droplet.