L’Italia si muove: obiettivo, tutelare la salute femminile in tutte le fasi della vita, perché le donne, pur vivendo più a lungo degli uomini (l’aspettativa è aumentata, arrivando a 84,7 anni), passano meno anni in buona salute, soprattutto nella terza età, malgrado gli sforzi a livello nazionale e internazionale per migliorare l’approccio alle cure e ridurre l’incidenza di fattori di rischio. Il 22 aprile è stata celebrata in tutte le regioni la Prima Giornata Nazionale della Salute della Donna, voluta dal Ministero della Salute, non a caso proprio nel giorno della nascita del premio Nobel Rita Levi Montalcini.
L’attenzione verso le malattie del sesso femminile è cresciutanegli ultimi anni e oggi per il mondo scientifico è fondamentale considerare la diversa fisiologia della donna, mettendo a fuoco percorsi e terapie più personalizzate, in altre parole puntando alla “medicina di genere”, per potenziare l’accesso alle cure, alla prevenzione, all’educazione sanitaria e per portare avanti sperimentazioni cliniche ad hoc sui farmaci.
Secondo l’Aifa, l’Agenzia Italiana del Farmaco, malgrado sia stata raggiunta quasi la parità tra i sessi nella sperimentazione dei farmaci, il divario resta ancora grande, anche perché le donne volontarie sane sono rarissime, soprattutto nelle prime fasi delle ricerche, mentre in quelle più avanzate esiste l’obbligo di inserire almeno il 30% di donne. In campo oncologico, sono in corso alcuni studi focalizzati sul sesso femminile, che dovrebbero portare allo sviluppo di nuovi farmaci per l’immunoterapia nel melanoma e nel tumore del polmone. Lo scopo è aumentare la ricerca di genere, perché finora sono stati studiati prevalentemente gli uomini, sia per quanto riguarda il dosaggio delle molecole, sia per gli effetti collaterali.
Fondamentale per la prevenzione delle patologie femminili è la messa a punto di raccomandazioni specifiche per la donna, come l’esecuzione periodica di alcune indagini (mammografia e pap test), e l’educazione a uno stile di vita corretto, vale a dire un’attività fisica costante, l’abolizione di fumo e alcol (le donne stanno iniziando a contrarre malattie, che prima colpivano solo gli uomini), la corretta alimentazione, il mantenimento del giusto peso corporeo.Le donne sono infatti più sensibili e rispondono in maniera più efficace a questi cambiamenti positivi. Non a caso i centri di dietetica ADI (L’Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica) hanno aderito alla settimana di prevenzione e informazione dedicata alla salute delle donne, organizzata (dal 22 al 28 aprile) da ONDA (Osservatorio nazionale sulla salute della donna), offrendo a tutte quelle che si rivolgono ai centri di dietetica dei 181 ospedali dal bollino rosa aderenti all’iniziativa consulenze e informazioni gratuite sull’alimentazione nei vari cicli di vita (gravidanza, allattamento, menopausa e terza età).
Ma perché il sesso femminile è spesso più esposto alle malattie? Le donne prestano meno attenzione ai fattori di rischio (fumo, aumento del colesterolo e dei trigliceridi nel sangue, ipertensione) e alla prevenzione, sottovalutano e minimizzano i sintomi (una donna colpita da infarto del miocardio ha, per esempio, meno probabilità di essere soccorsa tempestivamente, perché le manifestazioni cliniche, come ansia, difficoltà respiratoria e facile affaticabilità, possono a volte portare fuori strada), si rivolgono più difficilmente e più tardivamente alle cure, spesso quando sono già presenti complicanze importanti. L’informazione e la sensibilizzazione alla prevenzione e cura riguarda quindi anche il diabete o le malattie cardiovascolari, che si manifestano in entrambi sessi, ma che nella donna hanno un decorso più grave.
Nella donna in età fertile è importante prevenire e curare il diabete gestazionale, che insorge nel 5% circa delle gestanti, soprattutto se in sovrappeso o obese, determinando un aumentato rischio di complicanze, sia per la mamma che per il bambino, mentre soprattutto dopo la menopausa, aumenta il rischio di osteoporosi (maggiore nel sesso femminile, ma spesso sottovalutata), che in Italia colpisce 3,5 milioni di donne e ogni anno provoca circa 100.000 fratture di femore. Il rischio può essere ridotto adottando fin dall’infanzia un’alimentazione adeguata, esponendosi al sole per il tempo giusto, praticando attività fisica, facendo la diagnosi precoce e in alcuni casi seguendo la terapia farmacologica.
D.ssa Brigida Stagno – Medico